Recensioni
Manlio Sgalambro e il suo pensiero tagliente nel “Breve invito all’opera”
Si tratta di un testo per adulti maturi, sconsigliato per chi, deposto il paracadute di visioni religiose o ideologie consolatorie, non abbia sufficiente coraggio per accostarsi alla lama tagliente del pensiero – lucido e impietosamente pessimista – di Sgalambro. Davide Miccione, curatore del testo, e gli altri tre studiosi co-autori del volume, Cosimo Cucinotta, Salvatore Ivan D’Agostino e Giovanni Miraglia, ci presentano il filosofo di Lentini attraverso scorci significativi della sua opera intrigante e poliedrica, che mette in crisi tante nostre certezze, ma a cui non si può negare sapienza, acutezza e autenticità speculativa. Ai più conosciuto solo per il felice sodalizio col conterraneo Franco Battiato – per il quale ha scritto, tra gli altri, i testi de “L’ombrello e la macchina da cucire”, de “L’imboscata” e per cui ha curato il libretto dell’opera musicale in due atti “Il cavaliere dell’intelletto” (raccontata nella parte finale del saggio da Cosimo Cucinotta) – chi era davvero Manlio Sgalambro? “Qualcuno che poneva tra sé e il mondo (…) non la professione (non ne aveva), non la cattedra (…), non la laurea (mai conseguita). Solo la filosofia”: un vero filosofo dunque, testimonia Davide Miccione, che ha avuto il privilegio di essergli amico. Sgalambro, continua Miccione, è stato uno dei pochi filosofi italiani contemporanei non accademico: autodidatta, si è definito “chierico”, umile servo della verità filosofica, sforzandosi di eludere ogni legame con la sua dimensione biografica e localistica “per mantenersi in una sfera che gli assicurasse una genesi esclusivamente teoretica del suo pensiero”. A cosa approda il pensiero di Sgalambro, che si esprime con una prosa scintillante e acuminata? A una visione dissacrante, anticonformistica e pessimistica della realtà, che ritiene fallaci le idee illuministiche di libertà, progresso, democrazia: “Tutte le cose su cui siamo abituati a fondare la convivenza tra uomini (…) dall’etica alla religione, dalla scuola alla democrazia, vengono da Sgalambro negate o radicalmente modificate o svuotate, fino a farle apparire meri involucri”. Di conseguenza: “l’idea di un’interazione forte e continua (…) con la società (…) sembra abbisognare di presupposti illuministi, democratici, progressisti che poco hanno a che vedere col suo pensiero.” Posizione chiaramente sintetizzata da Salvatore Ivan D’Agostino che, a proposito della filosofia di Sgalambro, parla di un “pessimismo misoteistico”, già delineato nella prima opera dell’autore “La morte del sole”: “Se conoscere vuol dire dare un nome alle cose, pensare pessimisticamente è pensare davvero”. C’è una sorta di verità empirica nel pessimismo; infatti: “Sgalambro punta tutto (o quasi) sul dato che la verità viene dall’esterno (…) tale verità non è un parere (…) bensì una conoscenza incontestabile”. “La conoscenza della fine termica del mondo (anche se fra cento miliardi di anni) … è il punto di vista privilegiato che la verità può consentire. (…) Non è che nulla abbia senso, bensì che il senso sia anche troppo e che sia negativo: tutto si distruggerà”. In conseguenza di tale oggettiva percezione del reale, la concezione del divino non può che essere ‘empia’ e negativa: “Il nome di Dio può essere usato solo per indicare i limiti del mondo, la morte e la distruzione”. L’estrema conseguenza di tale idea del divino è quindi il misoteismo, l’odio per Dio: “reazione emozionale alla sindrome di Stoccolma religiosa secondo la quale siamo costretti … ad amare l’essere (supposto) che ci tiene in miseria, ci fa soffrire ed alla fine immancabilmente ci uccide”. Chi sale e chi scende allora, tra i filosofi, nel ristretto Parnaso delineato da Sgalambro? Tranne Husserl, irrisi quasi tutti i pensatori del Novecento: Heidegger, Jonas, Gadamer, Habermas, Ernst Bloch, Hanna Arendt. Tra i filosofi meno recenti, stima imperitura per Spinoza e Schopenhauer.Giovanni Miraglia, infine, tratteggia alcune costanti delle “stazioni impoetiche” del filosofo che, “come un uomo della Grecia arcaica”, non conosce steccati tra filosofia, scienza, musica e letteratura e fa dei suoi versi “un’acuminata arma di disvelamento intellettuale”per fustigare imposture e marcescenze del pensiero, col “basso continuo” di una severa ironia che aspira a togliere alla poesia ogni funzione salvifica.Coraggio, allora: approfittiamo di questo libretto prezioso per misurarci con l’umanissimo, intrigante pensiero di Sgalambro che, se ci ricorda: “Si sa chi si è, da dove si viene e dove si va. Al postutto si è garantiti”, alla fine ci consola così: “Attraverso il dolore di vedere il mondo in un disordine mostruoso, si fa luce la gioia di sapere in ordine la propria mente.”
MARIA D’ASARO
4 maggio 2018 in Siciliainformazioni.com